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Vecchio 16-06-2009, 14:45   #1
Esperto
L'avatar di QuantumLeap
 

E' il titolo di un articolo del settimanale DIPIU' sulla fobia sociale. Hanno intervistato uno psichiatra di nome Giampaolo Perna. Ha pure un sito su questo link: http://www.giampaoloperna.it/
Vecchio 16-06-2009, 14:56   #2
Esperto
L'avatar di QuantumLeap
 

E' la seconda intervista che gli fanno!
Vecchio 16-06-2009, 15:06   #3
Flo
Banned
 

Alla faccia dello psichiatra! Un figo così....
Te la fà venire l'ansia
Vecchio 16-06-2009, 15:56   #4
Intermedio
 

ke bono lo psichiatra....sicuramente solo lui sarebbe in grado di guarirmi hihi
Vecchio 16-06-2009, 16:05   #5
Esperto
L'avatar di claudioqq
 

Ciao Cristina. Pui fare un sunto di quello che hai letto?
Vecchio 13-07-2009, 16:36   #6
Esperto
L'avatar di QuantumLeap
 

Dalla fobia sociale si può facilmente guarire grazie ad appositi farmaci, eventualmente abbinati a cicli di cure mirate sul comportamento.
Sono le parole di un grande esperto a livello mondiale di disturbi provocati dall'ansia, lo psichiatra milanese Giampaolo Perna, docente in Psichiatria e Neuropsicologia all'Università di Maastricht, in Olanda.
Mentre la timidezza è un tratto caratteriale che non va per forza curato a meno che non influisca negativamente con la qualità della vita di una persona, la fobia sociale è un disagio psichico più complesso. Oltre al rossore quando si incontrano altre persone, alla paura di parlare in pubblico e al tremore al solo pensiero di affrontare situazioni sconosciute, provoca sudorazione incontrollata, palpitazioni cardiache e senso di malessere generale simile a quello che precede lo svenimento. Questo è dovuto a una risposta eccessiva del sistema nervoso che genere un’ansia, un imbarazzo e un senso di paura difficilmente gestibili. Questi sintomi incidono sui comportamenti, limitano la libertà e la qualità della vita del paziente e possono anche provocare una forma di depressione potenzialmente molto pericolosa.
Il suo riconoscimento può essere effettuato soltanto da un medico altamente qualificato specializzato in diagnosi dei problemi psichici.
Il farmaco adatto a curarlo può essere prescritto solo caso per caso, dopo avere avuto un colloquio approfondito con il singolo paziente. I farmaci che utilizzo per risolvere questo problema sono generalmente tre. I primi due agiscono sulle sostanze che regolano la nostra emotività, la serotonina e la noradrenalina. In particolare mi riferisco ai cosiddetti "inibitori della ricaptazione della serotonina" oppure agli "inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina". Usando questi farmaci riusciamo a riportare la quantità di serotonina e noradrenalina nel cervello del paziente a livelli ottimali e quindi a farlo sentire più sicuro di sé, meno in apprensione e meno timoroso. Consiglio al paziente di proseguire questa terapia per almeno un anno, assumendo i farmaci per via orale, in gocce o compresse.
L’effetto si manifesta nel giro di due o tre settimane dalla prima assunzione del farmaco: è necessario un periodo di assestamento per riequilibrare la giusta concentrazione delle sostanze chimiche coinvolte nel controllo delle emozioni. Nelle prime due settimane di cure la situazione potrebbe anche avere un leggero peggioramento. Questo però è da considerare una buona notizia, per quanto sgradevoli siano gli effetti: significa che il farmaco sta smuovendo la situazione e che presto l’ansia e le paure diminuiranno. Durante questo periodo gli ansiolitici, chiamati comunemente tranquillanti, possono essere di aiuto, anche se è bene ricordare che saranno poi progressivamente eliminati quando il paziente si sentirà meglio.
Se la fobia compare solo in occasioni specifiche, come parlare in pubblico o sostenere un esame universitario, dopo avere effettuato le analisi mediche appropriate consiglio di assumere un farmaco betabloccante. Questo farmaco regolarizza il battito cardiaco ed evita tachicardie eccessive o palpitazioni che potrebbero scatenare la crisi di ansia e rendere impossibile portare a termine il compito prefissato.
Non sempre la prima scelta del farmaco è quella giusta: ogni persona reagisce a modo suo alla somministrazione di queste medicine, quindi in alcuni casi può essere necessaria una modifica della terapia alla ricerca del farmaco più adatto al singolo paziente.
Tuttavia una soluzione vera e propria per il trattamento della fobia sociale associa alle medicine citate la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Si tratta di un ciclo di sedute della durata di un'ora circa, da svolgere una o due volte alla settimana nell'arco di sei mesi. Durante queste sedute il paziente, con l'aiuto dello psicologo, impara a riconoscere quali situazioni lo mettono in difficoltà. Poi, attraverso tecniche che permettono un maggiore controllo del comportamento, impara a gestire la paura e ad affrontare con successo le situazioni temute, disinnescando la miccia che fa nascere la crisi di ansia.
Attraverso questi farmaci e la terapia si riesce a vincere la fobia sociale e, anche nel caso in cui non avviene una vittoria completa, i sintomi più gravi sono decisamente attenuati e il paziente può condurre un’esistenza normale.
A un paziente affetto da fobia sociale non giova l'incoraggiamento di amici e familiari. Spesso, pensando di fare bene, chi è vicino a queste persone tenta di motivarle a essere più coraggiose, ottenendo il risultato opposto a quello desiderato. La costrizione ad affrontare le proprie paure è un atteggiamento sbagliato perché, quasi certamente, una forma acuta di questo problema porta al fallimento del compito assegnato, e di conseguenza alla frustrazione del paziente. Non è raro che il disturbo si manifesti più frequentemente in diversi componenti della stessa famiglia. L'educazione familiare, se è eccessivamente protettiva, può concorrere alla nascita del problema, ma esiste una predisposizione ereditaria che poco ha a che fare con l'educazione e che determina uno squilibrio di tipo chimico nelle sostanze coinvolte nel controllo delle emozioni.
I pazienti affetti da fobia sociale non sono svogliati e apatici. Al contrario sono ansiosi, spesso insonni, e si comportano come se fossero tigri in gabbia. Solo che in questo caso la gabbia è di tipo emotivo e impedisce loro di esprimere la loro vera personalità. A volte tendono ad autocurarsi facendo abuso di farmaci tranquillanti o addirittura di alcolici, che donano loro un illusorio senso di benessere e spigliatezza. Ma quando l’effetto di queste sostanze finisce si sentono peggio di prima.
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